Bravi bambini, attaccamento, depressione

I BRAVI BAMBINI

Chi è a contatto con i bambini tenderà ad accorgersi più facilmente dei piccoli più vivaci, tanto che  sono soprattutto loro ad essere segnalati dalle scuole perché considerati “problematici”.

Ma come loro, non perfetti padroni dei propri stati emotivi, c’è chi le emozioni le gestisce in eccesso per la propria età: sto parlando dei “bravi bambini”, ovvero coloro che fanno il loro dovere a casa e a scuola, che non si ribellano, ubbidienti e autonomi nella gestione delle loro attività, tanto che queste qualità sono spesso fonte di elogio e di vanto per i genitori, orgogliosi di aver allevato figli perfetti che “non danno fastidio” e che per questo non sono sotto la mira degli insegnanti. Sono bambini talmente bravi che non si lamentano mai di nulla, nemmeno se si fanno male o hanno paura. Forse una situazione da sogno per genitori ed insegnanti, non proprio per la clinica: proviamo a spiegarlo attraverso il Sistema Motivazionale di Attaccamento.

 

Fondamento della sopravvivenza umana, si attiva nel momento in cui vi è un pericolo o un bisogno: se un bambino è spaventato o ha fame, cercherà la vicinanza del caregiver, il quale si occuperà di lui. Secondo il modello di Ainsworth (e ripreso poi da Main e Crittenden), i bambini con uno stile di attaccamento sicuro (B) cercheranno la prossimità o chiederanno l’aiuto del genitore, il quale risponderà in maniera consona al bisogno del piccolo. I bambini con attaccamento di tipo insicuro-resistente (C) attiveranno una serie di  comportamenti visibili come pianti, urla, azioni pericolose, oppure passive ma comunque degne di attenzione, come il mostrare sofferenza fisica (il forte mal di pancia) o mostrando “gli occhi dolci” (atteggiamento coy seduttivo): il tutto per attirare su di sé l’attenzione del caregiver, spesso imprevedibile.

E i bravi bambini? Generalmente appartengono ad un attaccamento di tipo insicuro-evitante (A) e crescono in un contesto “freddo” e normativo, in cui hanno imparato che è meglio cavarsela da soli poiché il genitore non è responsivo, in cui  la razionalità  prevale nella relazione e dove ogni tipo di manifestazione emotiva e fisica è screditata.

Gli scenari relazionali tra bambino e caregiver possono essere questi: sovente si assiste ad un fenomeno chiamato “attaccamento invertito” in cui è il figlio a prendersi cura del genitore, spesso malato fisicamente o  con problematiche psichiche (frequentemente depressive): in questo ambiente si sviluppa precocemente un’autonomia di tipo pratico ma soprattutto emotivo, in cui anche nei momenti in cui necessita aiuto egli tenta di autoregolare i propri stati emotivi, specialmente quelli negativi (rabbia, tristezza) e ne evita sia il riconoscimento che l’espressione esterna degli stessi. In poche parole: “sono triste e arrabbiato ma non lo faccio vedere, accantono queste emozioni e ti mostro che sono capace di cavarmela da solo”.

In altri casi il genitore è percepito non solo distaccato e prono alle regole ma anche pericoloso e violento se il bambino non segue i suoi riferimenti: il piccolo imparerà ad inibire selettivamente gli stati negativi interni e ad essere compiacenti nei suoi confronti.

I bambini quindi cercano di corrispondere alle aspettative del genitore o allo scopo di attivarlo e quindi di curarlo attraverso le attenzioni che gli forniscono, oppure adempiendo ai suoi ordini per evitare una situazione di pericolo generata proprio dal caregiver stesso: il tutto allo scopo di mantenere lo stato di relazione con il genitore, che resta fondamentale per la sopravvivenza.

 

Quello che ne consegue sarà lo sviluppo di un individuo precocemente autonomo e responsabile, ma con una tendenza a sviluppare disturbi di tipo depressivo a causa di uno scarso senso di amabilità (“nessuno mi ama perché nessuno si è preso cura di me”); disturbi ossessivi-compulsivi, tic e balbuzie, oppure somatoformi con disturbi fisici di tipo gastrointestinale, dermatiti, alopecia areata, in cui le emozioni trovano la via di sfogo attraverso il corpo, poiché per mantenere lo stato relazione con il caregiver non è possibile esplicitarle.

Le difficoltà relazionali in cui la paura del rifiuto, dell’adeguarsi a seconda delle aspettative altrui e il timore del contatto fisico la faranno da padrone.

L’espressione dell’emotività è fondamentale per il riconoscimento e la gestione degli stati emotivi interni: il gioco libero, il disegno spontaneo, le relazioni con i coetanei fanno parte del repertorio della quotidianità di un bambino. Egli è tale proprio perché è curioso, un pensatore fantasioso e che mal gradisce le grandi responsabilità e le regole.

In questi casi, il lavoro con il caregiver è essenziale affinché il contesto di vita possa diventare responsivo nei confronti dei bisogni del piccolo, in cui egli possa finalmente sentirsi libero di vivere “da bambino”: spensierato, curioso e accolto con le sue emozioni e  con un genitore pronto ad assisterlo nel dare un nome ad esse.

 

 

Dott.ssa Melissa Mancini  Psicologa Psicoterapeuta

 

RIFERIMENTI:

Lambruschi F. (a cura di): Psicoterapia Cognitiva dell’Età Evolutiva: procedure d’assessment e strategie psicoterapeutiche, Bollati Boringhieri, Torino, 2014

Crittenden PM: L’organizzazione dell’attaccamento in età adulta: un approccio dinamico-maturativo alla Adult Attachment Interview, Milano, Raffaello Cortina, 1999

Bara B. (a cura di): Nuovo Manuale di Psicoterapia Cognitiva, Boringhieri, Torino 2006

 

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