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GLI ATTACCHI DI PANICO

 

Il Disturbo di Panico consiste in una sensazione di paura, forte, improvvisa, crescente e pervasiva, accompagnata da sintomi:

Fisici come:

·         Tachicardia
·         Dolori al petto
·         Dispnea (fame d’aria)
·         Sudorazione
·         Spasmi muscolari, tremori e intorpedimento degli arti
·         Nausea
·         Disturbi gastrointestinali
·         Vertigini
·         Sensazione di svenimento, sbandamento

Disturbi cognitivi e della coscienza:

·         Depersonalizzazione e derealizzazione (sensazione di essere distaccati da se stessi e di irrealtà)
·         Paura di morire
·         Perdita del controllo corporeo

 

La durata è relativamente breve (il picco massimo è di pochi minuti) e si risolve spontaneamente ma lascia la persona nello sgomento.

Dato l’avvenimento improvviso e scioccante, per l’individuo si crea lo spartiacque tra la vita prima e la vita dopo il primo attacco, dove prima la quotidianità è riferita come serena e senza particolari problemi mentre ora tutto può sembrare pericoloso, dato che ogni cambiamento fisico ed emotivo può essere indice dell’arrivo di un nuovo episodio.

Il Disturbo di Panico è visto, da chi lo vive come qualcosa di disturbante, da togliere il prima possibile, senza mettere in discussione se stessi, poiché il problema non è percepito all’interno di sé ma come qualcosa di distaccato.

 

Una delle strategie principali che l’individuo attua in seguito al primo attacco è l’evitamento del contesto in cui è avvenuto l’episodio. Il contesto è però slegato dal significato che sottende al disturbo ed evitarlo il più delle volte non serve a nulla: dato che le cause individuali non sono ancora state comprese, l’Attacco di Panico si ripresenterà in diverse altre occasioni. La persona si troverà quindi ad evitare sempre più situazioni ed ambienti fino a stravolgere completamente la propria (e altrui) quotidianità e personalità: il rischio è un forte isolamento sociale e la formazione di una sintomatologia depressiva, caratterizzata da un senso di Sé estremamente fragile e impotente. Vari sono anche i comportamenti scaramantici, come il tenere in borsa per anni gli ansiolitici “perché non si sa mai”.

Alcuni individui decidono di  stare il più accanto possibile alle persone care e chiedono loro di essere presenti in determinati luoghi ora ritenuti a rischio, (come posti affollati o chiusi, mezzi pubblici) poiché possono essere di aiuto  in caso di un altro attacco: in questo caso si parla di Disturbo di Panico con Agorafobia.

 

Chi soffre di Attacchi di Panico possiede già di base una concezione di sé fragile e bisognoso, nel quale il mondo esterno è percepito come minaccia, alimentando un continuo stato di allerta e la sfiducia nel fronteggiare le minacce con le proprie capacità. La persona tende a presentare uno stile di coping repressivo nei confronti delle emozioni: “Chi soffre di Panico vuole evitare il dolore, tenere tutto fermo, fissato, sotto controllo… non è pronto ad accettare il cambiamento, rifiuta ogni rischio” (Rovetto, 2003).

Infatti analizzando la storia del paziente, si comprende in realtà che la vita apparentemente tranquilla nascondeva cambiamenti notevoli, che mettevano a rischio le relazioni più importanti: matrimoni o separazioni, lutti, cambi di residenza, cambiamento del lavoro e delle mansioni, eventi pericolosi per sé e gli altri, eccetera; mutamenti difficilmente controllabili che  fanno sentire l’individuo in balia degli eventi.

L’atteggiamento prevalente di una persona che soffre di questo disturbo è quindi controllante nei confronti delle emozioni, nel quale lo spettro emozionale è ristretto tra ansia e tranquillità e le reazioni fisiologiche evocate dalle esperienze emotive sono lette come sintomo di qualche disfunzione o malattia fisica o mentale: non viene colta la relazione tra emozioni e gli eventi cui sono collegate. Il controllo  è anche sugli altri: chiedendo aiuto e vicinanza per la paura di stare ancora male, l’individuo utilizza la manipolazione come garanzia di protezione e quindi lo scopo è di mantenere la relazione, vissuta come in pericolo, stabile.

Dato vi è una scarsa consapevolezza delle proprie emozioni, è il corpo che parla per loro.

 

Il lavoro di psicoterapia iniziale, data la pervasività del disturbo, sarà quello di stabilizzare la problematica attuando interventi psicoeducativi, fornendo informazioni circa il disturbo, il come un attacco si può innescare e che cosa comporta a livello psicofisico, assieme a tecniche di rilassamento da utilizzare all’occasione.

L’intervento chiave sarà quello di analizzare gli episodi di panico attraverso procedure di indagine e rielaborazione allo scopo di identificare e modificare comportamenti e cognizioni relativi ai vari episodi e successivamente sondare la struttura della mappa rappresentazionale personale: si giungerà dunque alla lettura delle emozioni e alla comprensione delle situazioni interpersonali collegate all’insorgere dei sintomi stessi.

 

 

Dott.ssa Melissa Mancini - Psicologa Psicoterapeuta 

 

RIFERIMENTI

American Psychiatric Association: Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders Fifth Edition (DSM V)

B.G. Bara: Nuovo Manuale di Psicoterapia Cognitiva vol. 2; Bollati Boringhieri; 2005

M.Giannantonio, S. Lenzi: Il Disturbo di Panico: Psicoterapia Cognitiva, Ipnosi e EMDR; Raffaello Cortina Editore; 2009

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