la rabbia, la pecora nera delle emozioni

Considerata come la pecora nera delle emozioni primarie, la rabbia è percepita come distruttiva e negativa, sia a causa degli effetti oggettivi a lungo termine, sia rispetto alle situazioni di immagine sociale.

 

La rabbia è intrinseca nel patrimonio emotivo umano e viene facilmente manifestata ma a causa della sua visibilità e potenziale disturbo sull’ambiente sociale molte volte viene limitata da chi ci circonda. Arrabbiarsi è visto come mancanza di razionalità, caratteristica che differenzia l’uomo dagli animali, per cui le gesta di ribellione sono considerate come non consone ad un individuo dotato di raziocinio; nonché in un contesto in cui l’apparenza e le buone maniere la fanno da padrone e la cortesia e la gentilezza devono avere sempre la meglio sugli “istinti”.

 

Ma se dopo tanti anni di evoluzione la rabbia è ancora presente, ci sarà un motivo!

 

Perché ci arrabbiamo? La rabbia nasce in quel momento in cui “ci pestano i piedi”, quando qualcuno o una situazione ha oltrepassato i nostri confini personali in termini fisici ma soprattutto di bisogni e identità personale.

 

La rabbia in tenera età si manifesta con pianti, urla, atti di ribellione verso i caregiver/genitori, i quali, attraverso la potenza della propria autorità (anche questa è manifestazione di rabbia!), dimostrano al piccolo che il suo comportamento non è adattivo. Cosa imparerà il bambino? Dipende dalla capacità dell’adulto di leggere la mente del bambino e di empatizzare con lui.

 

Primo scenario: non va bene arrabbiarsi e quindi è normale non manifestare il proprio disappunto.

Secondo scenario: non va bene arrabbiarsi e io adulto mi arrabbio ancora di più ma non riesco a contenere la rabbia del figlio che aumenta a dismisura.

Terzo scenario: con fermezza l’adulto contiene la rabbia del piccolo e cerca di comprendere il bisogno che lo ha portato a reagire così.

 

I diversi scenari porteranno il piccolo ad imparare a manifestare la rabbia in diversi modi, mantenendo la tendenza anche in età adulta. Nel primo caso la rabbia non manifestata si tradurrà in una difficile lettura dei propri bisogni dato che all’esterno non c’è mai stato nessuno a disposizione per soddisfarli, per cui la rabbia che la persona può percepire si trasforma in autodiretta, cioè la persona non dice di essere arrabbiata perché è più importante la serenità dell’altro e “se la tiene dentro”; oppure arriva anche a non comprendere di essere arrabbiato a tal punto da iniziare a manifestare sintomi di tipo somatico, in primis disturbi a livello gastrointestinale e dermatologico: l’emozione deve trovare uno sfogo. Nel secondo caso la rabbia diventa evidente: nessuno è riuscito ad ascoltare i bisogni in modo consono e ad essere contenuto emotivamente per cui la persona è un fiume in piena quando si sente prevaricato. La rabbia è eterodiretta in quanto esternalizzata su oggetti o altre persone.

 

Il terzo scenario rappresenta l’equilibrio: qualcuno ci ha ascoltato nei nostri bisogni ed è riuscito a contenere le nostre emozioni, per cui da adulti la rabbia si manifesterà con assertività, ovvero la capacità di riuscire a respingere le situazioni in cui ci si sente prevaricati ma con sicurezza, senza la necessità di reagire con violenza ma con razionalità, senza perdere il centro sulla propria persona.

 

 

L’assertività è possibile anche per chi si sente appartenere ai primi due scenari: il lavoro si focalizzerà sulla percezione o meno dei propri bisogni e spazi personali e come questi possono essere manifestati, cercando un equilibrio tra il proprio spazio e quello altrui.


Melissa Mancini - Psicologa Psicoterapeuta

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