LA SOCIETÀ DELL’INSICUREZZA
(Tu, straniero pericoloso! Il pregiudizio della diversità)
Poco tempo fa è giunta la definizione sorprendente del Censis, circa lo stato economico-culturale del Paese:
Sovranismo psichico: (dicembre 2018) “una reazione pre-politica con profonde radici sociali” (…) “che talvolta assume i profili paranoici della caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria ‒ dopo e oltre il rancore ‒ diventa la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare”.
In pratica il Censis riconosce un Paese incattivito, depresso ed impoverito; Paese appunto perché il disagio non si riferisce ad una fascia sociale precisa. A causa di questi sentimenti negativi così diffusi non è nemmeno presente un briciolo di speranza ma perdita di motivazione e frustrazione per un presente negativo e per un futuro che più che incerto va verso il baratro.
Chi sembra essere la vittima di questo disagio? Lo straniero, che sembra aver accresciuto nella popolazione sentimenti di insicurezza sociale e non solo. Lo “straniero pericoloso” è il colpevole di questo disagio attuale, discusso brevemente attraverso parole chiave derivanti dalla psicologia e dalla sociologia.
Partiamo con:
Xenofobia:
· composta dalla parola xenos: straniero
· composta dalla parola fobia: ovvero paura angosciosa a volte a carattere patologico verso un oggetto oppure un’avversione verso qualcosa.
Per cui è contemplata come un’avversione generica verso gli stranieri, verso ciò che è straniero o percepito tale.
Consideriamola come una forma di “difesa primordiale” che si attiva in situazioni di percepito pericolo, così come tutte le sue reazioni emotive-comportamentali tra cui l’avversione, il disgusto e l’evitamento di luoghi, situazioni e tutto ciò che riguarda l’oggetto in questione, con anche atteggiamenti volti all’aggressività.
Paura di cosa? Che tutto ciò che viene da fuori possa nuocere, distruggere, rubare ciò che custodiamo nel nostro piccolo ambiente, la paura che qualcuno rovini il nostro orticello.
La paura del diverso, nello sviluppo della razza umana è stata adattiva e quindi utile: ha aiutato l’uomo ad essere diffidente nei confronti di specie animali e naturali che potevano essere pericolose e lo stesso accade ancora oggi nel mondo della fauna e della flora in cui alcuni colori utilizzati da animali e piante sono utilizzati come deterrente per gli altri per essere mangiati o catturati.
Oggi non abbiamo più la necessità di difenderci da animali famelici ma anche con l’evoluzione della specie la xenofobia sembra non aver lasciato l’uomo. Siamo tutti lo straniero di qualcuno: negli anni ‘60 il problema erano i meridionali che rubavano il lavoro a quelli del nord; ad inizio ‘900 erano gli italiani che arrivavano in America per seguire il sogno di un futuro migliore, (per finire però in quarantena al loro arrivo sistemati in zone delle città, costituendo i ghetti, luoghi considerati dagli americani come pericolosi in cui vivevano ladri sporchi e animaleschi -gli italiani, appunto-), mentre oggi il lombardo che va a lavorare in Canton Ticino è il meridionale irrispettoso che ruba il lavoro agli svizzeri. Ma c’è straniero e straniero: non ho ancora sentito nessuno gridare ad uno svedese “torna a casa tua!” Per cui quali possono essere gli elementi che differenziano lo straniero accettabile da colui che invece viene qui solo per derubarci e fare il parassita della società? E quali invece gli elementi che consolidano questi concetti?
Categorizzazione, stereotipi e pregiudizi:
Nella definizione di Moscovici (1989, 365)“Le rappresentazioni sociali hanno una doppia funzione: rendere familiare lo strano e percettibile l’invisibile. Ciò che è sconosciuto o insolito comporta una minaccia perché non abbiamo categorie in cui porlo”.
La realtà (Voci, 2003) non viene registrata nella nostra mente per quella che è, ma viene trasformata, rielaborata e dotata di significato attraverso schemi mentali che a loro volta sono influenzati da una combinazione di fattori cognitivi, affettivi e motivazionali. Il processo cognitivo che trasforma e altera la realtà è definito categorizzazione.
La categorizzazione sociale è un processo mentale che avviene con lo scopo di semplificare l’ambiente sociale: è un’azione cognitiva “a risparmio energetico” e classifica le persone all’interno di categorie sociali o gruppi come l’occupazione, il sesso, l’etnia, la religione, la nazionalità attraverso attributi peculiari riconoscibili come l’aspetto esteriore ma non solo. Anche determinati comportamenti, giudizi, attributi, possono essere connessi ad una determinata categoria sociale (come l’italiano mangia solo pasta e pizza). L’insieme delle caratteristiche ritenute tipiche di una categoria prende il nome di stereotipo.
La formazione di giudizi legata alla classificazione sociale è il pregiudizio (Brown, 1990): in questo caso si ignorano le caratteristiche individuali della persona e gli si attribuiscono i tratti specifici della categoria sociale di appartenenza; l’attribuzione viene data da percezioni ed opinioni comuni (sei italiano quindi sei mafioso e ritardatario). Il pregiudizio può avere valenza sia positiva che negativa, portando anche alla discriminazione. I pregiudizi restano tali quando non si tenta un approccio incline a falsificare l’opinione.
Capro espiatorio: (treccani) capro animato (animale o uomo), o anche inanimato, capace di accogliere sopra di sé i mali e le colpe della comunità, la quale per questo processo di trasferimento ne viene liberata. Il nome deriva dal rito ebraico compiuto nel giorno dell’espiazione (kippūr), quando un capro era caricato dal sommo sacerdote di tutti i peccati del popolo e poi mandato via nel deserto. Per cui tutto ciò che è reputato inaccettabile viene traferito su di un oggetto che viene sacrificato allo scopo di ripristinare un equilibrio. Un esempio si ritrova nelle famiglie in cui un membro viene preso di mira dagli altri, poiché all’interno di quel nucleo sono presenti situazioni esperienziali ed emotive inaccettabili che devono essere scaricate in qualche modo, solitamente su chi è il più debole. Se si toglie questo elemento allora il vaso di pandora viene scoperchiato. Per cui il “capro” viene utilizzato per nascondere ciò che non si vuole vedere ed affrontare, attraverso qualcosa che non c’entra nulla con il vero problema.
Razzismo: (treccani) concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze. È alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la 'purezza' e il predominio della 'razza superiore'. Vedere la voce Olocausto.
Questi processi socio-cognitivi non si diffondono con una chiacchera mi ci vogliono diverse forze di comunicazione per far si che i messaggi arrivino a più persone.
Il gruppo: è il luogo in cui tutte le frustrazioni personali e poco consapevoli vengono accolte. L’avversione per lo straniero o per ciò che non è accettato qui è finalmente compresa e diventa l’oggetto che unisce. Il gruppo, volgarmente detto, fa la forza e in questo caso ha la capacità di aumentare a dismisura l’avversione che diventa odio e la paura che si trasforma in aggressività verso l’oggetto di discriminazione (vedi anche l’omofobia o gli scontri ultrà negli stadi). Gli agiti violenti non sono altro che il tentativo di liberarsi di tutte quelle emozioni negative che non riescono individualmente ad essere contenute e che hanno come scusa/capro il diverso.
Effetto tv e i social media: abbiamo nel Paese un aumento della percezione di insicurezza. La crisi economica, la mancanza di opportunità di lavoro, la crisi pensionistica, ecc.. sono elementi che contribuiscono ad aumentarla. Questo si traduce anche in una maggior percezione della criminalità che sorprendentemente contrasta con la realtà oggettiva. Secondo il Censis, che ha elaborato i dati del ministero dell'Interno, il 31,9% delle famiglie italiane percepisce il rischio di criminalità nella zona in cui vive. Ma, nel 2017 in Italia sono stati denunciati complessivamente 2.232.552 reati, con una diminuzione del 10,2% rispetto all'anno precedente e del 17,6% rispetto al 2008. Entrando nel dettaglio gli omicidi si sono ridotti, passando dai 611 del 2008 ai 343 dell'ultimo anno (-43,9%), così come le rapine che dal 2008 in poi hanno segnato un netto calo, passando da 45.857 a 28.612 (-37,6%).
Abbiamo una maggior enfasi sui crimini commessi dagli extracomunitari e meno sugli episodi positivi e sull’accoglienza. Il pregiudizio dell’immigrato criminale viene alimentato in tv, internet e nei giornali attraverso un’associazione continua di termini negativi nei loro confronti (es. stupro perpetuato da un richiedente asilo), che non solo aumenta la sensazione che sia solo lo straniero a delinquere (e qui riprendiamo i concetti di stereotipo e pregiudizio), ma crea l’effetto di percepire meno grave una stessa azione compiuta però da un italiano. Vengono inoltre sollecitate emozioni di paura, ansia, tristezza e disgusto, non solo attraverso le parole ma anche con musiche ed immagini per puntare su di un effetto voluto.
Per quanto riguarda i social network, la frustrazione individuale aumenta quando si sente parlare(spesse volte tramite fake news e qui si aprirebbe un capitolo) di un immigrato che ottiene diverse agevolazioni, anche in più rispetto ad un italiano, creando un senso di ingiustizia immotivata e alimentando la frustrazione individuale.
Non nascondiamoci dietro ad un dito, il problema dell’immigrazione e dei disagi sociali che comporta esiste. Esistono immigrati criminali ma così come italiani stupratori, francesi assassini, ecc.. Ma è probabilmente la nostra percezione al problema ad essere distorta.
Nel giudicare una persona, se ci è permesso, sarebbe più sensato farlo in base alle loro singole azioni e non in base al gruppo di appartenenza, all’etnia o lo status sociale. O forse è un dispendio cognitivo troppo oneroso.
10/02/2019 -Dott.ssa Melissa Mancini, Psicologa Psicoterapeuta-
Riferimenti:
· “Calano i reati, ma cresce la paura: 4 italiani su 10 favorevoli alla pistola in casa”; La Repubblica, giugno 2018.
· www.censis.it
· www.psicologiadellavoro.org
· www.treccani.it